Nel 2002 Luciano Ranucci
(conosciuto come Lucio) ha donato 24 opere al Comune di Soriano, memore di
alcune spensierate estati trascorse sui Monti Cimini, dopo la morte prematura
del padre originario di Soriano e qui sepolto. Nel marzo 2014, con la
riapertura delle Scuderie Chigi-Albani è stata istituita la Pinacoteca a lui
dedicata.
Nato a Lecco nel 1925, dove
la famiglia si era trasferita per lavoro, Lucio Ranucci trascorre l’infanzia in
un collegio di Perugia. Si dimostra presto un giovane inquieto, parte come
volontario nel 1943 per il Nord Africa con l’esercito italiano, poi torna in
Italia con gli alleati inglesi, scrive sui primi giornali dell’Italia libera e
a ventidue anni si imbarca per l’Argentina di Peròn. Quello che doveva essere
un breve viaggio si trasforma in un soggiorno di sedici anni. Dal 1947 il Sud
America diventa la sua casa, fa lavori di ogni tipo, dal marinaio al fotografo.
Inizia ad entusiasmarsi per il fermento
culturale ed emerge la sua vena
artistica. Si occupa professionalmente di giornalismo e teatro: in Ecuador
dirige il teatro universitario di Quito, occupandosi di regia e scenografia, in
Costa Rica dirige un quotidiano, e nel 1959 è tra i primi giornalisti ad
intervistare Fidel Castro e Che Guevara, dopo la rivoluzione cubana. In Costa
Rica prende la cittadinanza, diventa anche segretario dell’ambasciata del Costa
Rica a Roma, e torna spesso a Soriano in questo periodo. L’attivismo politico è un tratto importante della sua personalità,
tanto da finire per alcuni mesi nel carcere di Managua nel 1955 per aver
partecipato alla lotta armata contro la dittatura.
Nonostante un’esistenza
gremita di molteplici attività, la passione
costante che lo caratterizza è la pittura. La sua prima mostra personale è del
1949 a Lima, in Perù. Da quel momento è un susseguirsi di esposizioni, tra cui
la Bienal Panamericana del Messico
nel 1958 e la Bienal de Sao Paulo. Ha
dipinto diverse opere murali, tra cui un grande pannello nell’aereoporto
internazionale di San Josè di Costa Rica. Nel 1963 decide di tornare in Italia, a Roma, e la sua
pittura suscita subito l’interesse del pubblico e della critica, raggiungendo
presto grande fama nazionale. Gli anni italiani sono segnati dalla scrittura di
alcuni romanzi, dalla storia d’amore con un’artista americana, dall’incontro
con il gallerista Renato Alberici della galleria Angolare di Milano, e dal
ritiro nell’isola di Ischia che influenza i temi delle sue opere. Dopo alcuni
anni vissuti a Parigi nei primi anni ‘80, Lucio Ranucci risiede ora in Costa
Azzurra. Questo artista
con quasi settant’anni di carriera,
che ha preso parte a circa cento mostre personali e collettive in tutto il
mondo, dona a Soriano, per il forte
legame con le sue radici, le opere che sono una summa della sua carriera
artistica. Le prime 21 sono opere a cui era fortemente legato e che non ha mai
voluto vendere, vi si trovano quasi tutti i temi da lui trattati in
settant’anni di attività. A queste ne sono state aggiunte altre 3, più recenti,
per dare completezza al percorso creativo.
L’avventurosa vita di questo
artista cosmopolita, poliedrico, entusiasta della vita è riversata nella sua
pittura e gli ha permesso di giungere a immagini di intensa forza espressiva. Nonostante lui sia un autodidatta, nelle
sue opere si respira una profonda
cultura artistica. È difficile restare indifferenti
davanti ai suoi quadri, agli occhi dei personaggi, alle mani, ai tratti decisi
dei contorni, ai colori. Le tele di Ranucci raccontano sentimenti, dolori e fatiche che sono le stesse a
qualsiasi latitudine. E questa è la forza della sua arte, l’universalità, il raccontare attraverso queste figure semplici e
forti allo stesso tempo - figure statiche, frontali e solenni - atti e riti
della vita quotidiana. I suoi personaggi escono da contorni netti, spesso non
hanno sfondo, l’ambientazione è appena accennata, il tempo sembra sospeso come
in certi affreschi medievali (Giotto), ma l’eco
della tradizione muralista messicana che lui ha ben conosciuto - Siqueiros,
Orozco e Rivera - pervade il quadro con l’esaltazione
dei gesti, da cui l’osservatore deve cogliere la denuncia insita
nell’opera, l’empatia verso gli oppressi e le minoranze.
I personaggi di Ranucci
hanno occhi senza pupille, solo
grandi superfici piane, scure, senza sguardo. Le bocche non tradiscono emozioni. I volti sono maschere. Questo modo di trattare gli occhi e i volti,
proviene da Cézanne, che a sua volta ha influenzato Picasso e Matisse, e in
Italia ha influito sull’arte di Modigliani e su alcune opere di Carlo Carrà.
Questa assenza di sguardo impedisce agli occhi di rivelare il carattere del
soggetto, provoca una spersonalizzazione, ma permette soprattutto
all’osservatore di entrare maggiormente in contatto con il dipinto, non essendo
influenzato emotivamente dallo sguardo del personaggio. Gli permette di scrutare i comportamenti, che stabiliscono ritmi e significati,
di osservare i corpi che sembrano automi, incapaci di qualsiasi slancio
emotivo.
Le opere di Lucio Ranucci
sono disposizioni studiate di incastri,
ripetizioni ritmiche di forme e strutture. È impossibile non farsi assorbire da
queste opere, dal suo stile cubo-espressionista che celebra personaggi muti che
parlano con i gesti di un’umanità stanca ma non rassegnata, che vive e va
avanti. E’ un “mondo immobile” come spesso lo hanno definito i critici.
Sono varie le tematiche
affrontate dall’artista, alcune hanno il sapore della cronaca (Morire a Sarajevo, Morte di un uomo a Soweto); altre sembrano allegorie della vita;
altre ancora raccontano attimi di vita quotidiana. Lo stile cambia seguendo
l’andamento cronologico e tematico. Nelle tele della Fatica di vivere, dei Pescatori,
dei Costruttori sono i gesti a suggerire la stanchezza e gli sforzi
per guadagnarsi il pane.
Sono soprattutto le mani, sempre in primo piano come
nei murales di Siqueiros, a suggerire la fatica, il prosciugarsi dei sentimenti
di quei volti omologati ai ritmi del lavoro, massicci, spigolosi, e negli
sfondi le forme sono ostili e aguzze, non c’è nulla che temperi la scena, né il
disegno, né il colore. Nei Mercatini,
nei quadri che raffigurano le Donne,
le persone e le cose sembrano invece fondersi, l’attenzione è tutta rivolta
alla plasticità della composizione,
le donne sono sempre figure dai contorni netti, rigidi ma qui i colori mitigano
la mestizia dei temi precedenti. Una cosa resta costante: gli occhi senza
pupille e l’isolamento dei personaggi. Non c’è mai comunicazione. Anche nei
quadri appartenenti alla tematica degli Amanti,
i due giovani non si incontrano davvero, restano due corpi senz’anima, sospesi
nel limbo delle intenzioni, nonostante gli incastri formali sempre presenti, i
personaggi sono isolati, denunciando così la crisi di relazioni e la solitudine
che tutti viviamo.
Ranucci ha compreso intimamente
i dolori, le angosce e le lotte degli uomini e le donne di tutto il mondo, dei
luoghi in cui ha vissuto ne ha condiviso
le vicende umane, sociali e politiche, ha affondato le mani nella vita in
tutte le sue sfaccettature e ce l’ha restituita con la pittura, con il filtro
dei ricordi, di una memoria che placa tutto ma allo stesso tempo denuncia con vigore.
Cristina
Pontisso
Bibliografia
di riferimento:
-
AA.VV., Lucio Ranucci, testi critici
di L. Caprile, M. de Micheli, R. de Grada, Editions Art du XX siècle, Paris,
2000.
-
Sylvie Murphy, Lucio Ranucci, Èdisud,
Aix-en-Provence, 1992.
-
R. de Grada (presentazione), Lucio
Ranucci. Pitture degli anni ‘80, Edizioni d’Arte Angolare, Milano 1986.
Nessun commento:
Posta un commento